sabato 21 marzo 2015

LA CONFERENZA E L'ESCURSIONE SUL MONTE FORTIN (VILLANOVA DI FARRA)












 Le gallerie cannoniere di Monte Fortin
di Marco Meneghini
Introduzione
Le gallerie cannoniere di Monte Fortin, presso Villanova di Farra (GO), rappresentano uno dei più interessanti esempi di cavità totalmente artificiali presenti in provincia di Gorizia: le notevoli dimensioni ed il buono stato di conservazione le hanno investite di un notevole interesse storico, archeologico, geologico e, naturalmente, speleologico. Questo sistema sotterraneo, però, realizzato dall’esercito italiano nella prima guerra mondiale, non racconta che l’ultimo capitolo di una storia che, attraverso secoli di guerre e di invasioni, ha coinvolto popoli e nazioni intere. Monte Fortin sorge in una terra di passaggio e di confine, che è stata da sempre teatro di contese spesso molto sanguinose: l’esistenza di opere fortificate su questa collina, infatti, viene fatta risalire all’epoca preromana e romana, ed è documentata sia nel Medioevo che nel corso delle guerre gradiscane (1615-1617). Il Centro Ricerche Carsiche “Carlo Seppenhofer” di Gorizia, oltre all’accurato lavoro di esplorazione, rilievo e descrizione degli ipogei artificiali del Monte Fortin di Villanova, ha voluto aggiungere anche dei cenni storici sulle strutture militari presenti sul posto in periodi precedenti la Grande Guerra.La relazione vuole così dare il suo piccolo contributo alla conoscenza delle cavità artificiali del Friuli Venezia Giulia, ed in particolare di quelle risalenti al primo conflitto mondiale esistenti nell’Isontino che, in questi ultimi anni, si stanno rivelando un terreno di ricerca tutt’altro che trascurabile.





Il luogo
Monte Fortin è il più alto di una serie di rilievi che si sviluppano tra Farra d’Isonzo (GO) e la sua frazione di Villanova, in direzione della città di Gorizia, che dista da qui circa otto chilometri. La particolare collocazione e l’altitudine di 116 m. sul livello del mare, hanno sempre fatto di questo monte un sito strategico di estrema importanza: dalla sua cima, infatti, la visuale spazia perfettamente libera sulla pianura per un vasto raggio, fino a Gorizia ed alle montagne circostanti, al monte Quarin di Cormòns, alla valle del Vipacco ed oltre. Esso è pure distintamente visibile dal Castello di Gorizia e dal ponte VIII Agosto, specialmente dopo i lavori di disboscamento del versante orientale che lo hanno reso particolarmente riconoscibile nel paesaggio. Il Monte Fortin, poi, è posto proprio di fronte al Monte S. Michele ed alle alture del Carso (anch’esse molto importanti strategicamente), ed ai suoi piedi passa la strada che collega Gradisca a Gorizia e che corre parallela al fiume Isonzo. Il colle, infine, domina lo sbocco della valle del Vipacco alla sua confluenza con l’Isonzo, in località Mainizza (tra Farra e Gorizia): passo obbligato per chi, nell’antichità, seguiva la strada che, proveniente dall’Europa occidentale, attraversava l’Isonzo in questo punto e proseguiva verso Lubiana ed il lontano Oriente (via Gemma). Attualmente, una strada di Villanova di Farra è nominata “via Monte Fortin”.
Itinerario per raggiungere le cavità
Seguendo la strada statale 351 (stradone della Mainizza) da Gorizia verso Gradisca, oltrepassata la località Mainizza, dopo circa un chilometro si svolta a destra verso Villanova di Farra - loc. Grotta. Dopo aver superato un piccolo passo, si arriva ai piedi del Monte Fortin, sotto il suo versante est, totalmente coltivato a vigneto. Qui, una strada interpoderale porta fino alle aperture delle cannoniere. Quest'ultimo tratto si trova in una proprietà privata. Per accedervi, è necessaria l’autorizzazione del concessionario del fondo. Sul posto sono presenti una recinzione e cartelli di divieto di accesso.





La storia
L’antichità e il medioevo
Si presume che già in età protostorica esistesse, sul Monte Fortin, un presidio fortificato. Successivamente anche i Romani vi costruirono una torre di osservazione, assieme ad altri fortilizi sulle alture vicine, per sorvegliare meglio il passaggio di Pons Sontii (ponte sull’Isonzo alla Mainizza, detto “Ponte romano”, via preferenziale per l’ingresso in Italia degli invasori barbari) e tutto l’insediamento che si era formato intorno all’importantissimo valico. Nel 568 d.C., i Longobardi, penetrati in Italia proprio attraverso questo passaggio, insediarono appena oltre l’Isonzo una faramannia (“tribù”, che diede l’attuale nome al paese di Farra) con il compito di proteggere il confine orientale del loro dominio in quel punto così vitale. A tal fine, essi mantennero la vedetta sul Fortin, che viene citata per la prima volta in un documento del 762 come turrionem e che, come era avvenuto nell’epoca romana, faceva parte di una lunga serie di capisaldi difensivi che si snodava, verso nord-ovest, fino alla catena alpina. Con il passare dei secoli, la torre longobarda sulla cima del colle diventò un vero e proprio castello, come si legge in un atto del 967, quando il Castrum quod vocatur Fara venne donato dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Ottone I, al Patriarca di Aquileia, Rodoaldo. Successive citazioni dell’opera fortificata e della sua giurisdizione si hanno in documenti datati 982, 1031, 1113 e 1176, quest’ultimo a firma dell’imperatore Federico I Barbarossa. I Conti di Gorizia, nel XIII secolo, cominciarono a rivendicare diritti sul feudo di Farra, di proprietà del patriarcato aquileiese, tanto che nel 1216 il conte Mainardo Il attaccò la fortezza ed il villaggio, mettendoli a ferro e a fuoco. Il nobile goriziano, però, di fronte alla minaccia di una scomunica lanciatagli dal Papa, desistette ben presto dalla sua impresa. Il castello, che durante questo episodio era stato completamente distrutto, non venne più ricostruito: i resti delle fondamenta di parte delle sue mura erano ancora individuabili, fino a non molti anni or sono, sulla cima del Monte Fortin (1).
La Guerra Gradiscana (1615 1617)
All’inizio del XVII secolo, il territorio del Friuli era diviso tra due grandi potenze: l’Impero Asburgico e la Repubblica di Venezia. Quest’ultima, che non aveva mai tralasciato l’idea di espandere i propri domini nel Goriziano, soggetto all’Austria, nel 1615 aprì le ostilità contro l’Impero. Nel febbraio 1616, un forte contingente veneto si accampò a Farra, da dove incominciò a muovere i primi attacchi per conquistare la fortezza di Gradisca, uno degli obiettivi principali della Repubblica di S.Marco. Per proteggere il loro campo, i Veneziani, secondo quanto scrive lo storico dell’epoca Faustino Moisesso (2), costruirono due fortilizi, uno di fronte all’altro, sui colli ad est del villaggio: il primo sul Monte Fortin, ed il secondo sulla collina immediatamente ad occidente di esso. A seguito della realizzazione di questa opera il Monte Fortin, allora chiamato Colle di S.Pietro, assunse la denominazione attuale, come tra l'altro testimoniano le mappe catastali del 1811 conservate nell’Archivio di Stato di Gorizia (3). L'assedio a Gradisca proseguì per alcuni mesi, fino a quando, dopo il clamoroso fallimento di una loro azione, i Veneti si ritirarono anche dall’accampamento di Farra, lasciando agli Austriaci la possibilità di riguadagnare la riva destra dell’Isonzo. Per difendere meglio le posizioni appena riconquistate, gli Arciducali (austriaci), nella primavera del 1616, eressero un poderoso fortilizio dotato di artiglieria e capace di contenere alcune centinaia di soldati ''. . .sopra il più eminente de’ Colli di Farra, che è l’ultimo verso Goritia, e nominaronlo il Forte di 5. Pietro, potendo da esso scoprire tutto il paese, et difenderne una buona parte,..'' Il forte, posizionato sul M. Fortin di Villanova, costituiva una seria minaccia per i Veneziani che, vistisi insidiati, decisero di tentarne la conquista: l’assedio ebbe inizio alla metà di agosto del 1616, con gli Austriaci che, sulle prime, sembravano resistere senza difficoltà grazie ai rifornimenti che ugual­mente riuscivano a giungere attraverso le linee nemiche. Con il passare dei giorni, però, il cerchio degli assedianti si strinse sempre più, e la situazione per gli Arciducali asserragliati nel fortino si fece oltremodo critica. Rimasti ben presto senza munizioni e cannoneggiati in continuazione dai Veneziani, gli Austriaci, comandati dal capitano Giacomo Sibil, decisero di arrendersi il 19 settembre 1616. Come previsto dalle condizioni di resa, ai superstiti venne consentito di fare ritorno alle proprie linee sani e salvi: i Veneti, inoltre, offrirono loro anche da mangiare e da bere, cosa che ebbe il suo sperato tornaconto. Nei giorni successivi, infatti, molti furono i soldati arciducali che, colpiti da questo gesto, passarono a combattere per la Repubblica di San Marco. La guerra si concluse nel 1617 con un trattato di pace che lasciava la situazione dei confini tra i due Stati pressochè immutata




La Prima Guerra Mondiale
Già nei giorni immediatamente successivi l’entrata in guerra contro l’Austria-Ungheria, i vertici dell’Esercito Italiano si resero conto della fondamentale necessità di conquistare il Monte Fortin di Villanova, per procedere alla successiva conquista del Monte S.Michele, del Monte Calvario e di Gorizia stessa. La relazione ufficiale “L’esercito italiano nella Grande Guerra 1915- 1918” (Ministero della Guerra Comando del Corpo di Stato Maggiore - Ufficio Storico, pubblicato a Roma nel 1919) dà una minuziosa descrizione del campo di battaglia, dalla quale emerge un quadro strategico estremamente complesso per la forza attaccante: “L’Isonzo forma il profondo rientrante di Salcano e Gorizia. Raramente in natura una testa di ponte ha presentato felici condizioni di difesa quanto questa. Le alture del Kuk 611, Monte Santo, San Gabriele e Monte San Michele si presentano come i bastioni di una fortezza naturale, di cui l’Isonzo è il fosso. La zona di alture digradanti verso sud e la pianura fra il Sabotino e Monte Fortin formano la cortina; e nella cortina, le alture del Sabotino - Podgora, un corpo avanzato che, oltre all’avere per sè stesso un alto valore difensivo, fruiva anche dell’azione concentrata di artiglieria dai bastioni del Kuk 611 e del San Michele e dalle due piazze d’Armi costituite dalle piane a sud e a nord di Gorizia: azione resa possibile, anzi facile, dalla proporzione relativamente forte nell'artiglieria avversaria di medi calibri a lunga gittata. A ciò si deve aggiungere il vantaggio della difesa preparata.” (5) L’occupazione di monte Fortin, quindi, avrebbe permesso di costituire un corpo avanzato e sicuro inserito nel sistema difensivo della città di Gorizia, dal quale si sarebbero colpiti ai fianchi i capisaldi del S.Michele e del Calvario, oltre che le retrovie Austriache della valle del Vipacco. Il 28 e 29 maggio 1915, avanguardie appartenenti al VI Corpo della III Armata italiana compirono le prime ricognizioni sul posto e, nei primi giorni di giugno, militari della Brigata Regina (XI Corpo d’Armata) occuparono il Monte Fortin, Villanova e Farra. Contemporaneamente, sul monte si insediarono reparti del 35* artiglieria, che iniziarono a colpire il paese di Sdraussina (oggi Poggio Terza Armata), situato ai piedi del Monte S.Michele. I lavori di scavo delle gallerie di Villanova cominciarono probabilmente poco dopo la conquista della collina, con il concorso di operai civili militarizzati e dei numerosi reparti di fanteria acquartierati sul posto. Il versante occidentale del Monte Fortin, infatti, non essendo raggiungibile dalle cannonate austriache, offriva un sicuro riparo a consistenti accampamenti e depositi che sorsero numerosi fin dall’inizio delle ostilità; qui venne realizzata addirittura una teleferica per trasportare sul monte la ghiaia necessaria alla costruzione delle strutture in calcestruzzo e, in seguito, per rifornire di munizioni i pezzi di artiglieria. Secondo quanto testimoniato da abitanti del luogo, i soldati italiani presero posizione anche in alcune case sotto il colle, costringendone gli occupanti alla fuga, e realizzarono delle opere difensive in calcestruzzo nei terreni circostanti, opere di cui oggi non rimane traccia. Qui vennero alloggiate, per la maggior parte del conflitto, le truppe di riserva ed in riposo dal servizio in prima linea: nel giugno e nel luglio 1915, vi stazionavano il 9* e 3* reggimento della Brigata Regina e il 12* e 13* della Regia Guardia di Finanza. Già durante la prima e seconda battaglia dell'Isonzo (combattute tra giugno ed agosto del 1915), sul Monte Fortin erano schierati obici da 149 e da 210 mm, che avevano il compito di aprire la strada alle fanterie per la conquista del S Michele. Difficilmente si può pensare che in questa fase della guerra le gallerie cannoniere di Villanova fossero già state scavate, ma la presenza stessa sul posto dei pezzi da 149 mm, tipiche armi da caverna, può far supporre che un’opera fortificata di grandi dimensioni fosse perlomeno già in previsione. Notevolmente importante era l’osservatorio per l’artiglieria posto sulla sommita' del Monte Fortin, che contribuì, assieme a quelli di stanza su alcuni campanili e sulle colline ad est di Cormòns, ad acquisire obbiettivi e dirigere i tiri nei combattimenti che seguirono. La posizione del Fortin, inoltre, venne inserita nella terza linea difensiva della III Armata da raggiungere in caso di una controffensiva austriaca dal Carso. Le offensive italiane proseguirono per tutto l’autunno del 1915 (terza e quarta battaglia dell’Isonzo), ma sia Gorizia che le vette del Calvario, del S.Michele e del Sabotino rimanevano saldamente austro-ungariche. Passati i primi due mesi del 1916, nel corso dei quali i cannoni dell’XI Corpo della III Armata (tra i quali erano inquadrati anche quelli del Fortin) continuarono a martellare il fronte, il giorno 11 marzo 1916 ebbe inizio la quinta battaglia dell’Isonzo, che si protrasse fino alla fine dello stesso mese. Allo scopo di sfondare le linee austriache nel settore del Calvario, i comandi disposero che due batterie da 149/A di Monte Fortin, messe a disposizione del VI Corpo d’Armata, sparassero sulla piana di Lucinico, sul rovescio dello stesso Podgora e sui ponti dell’Isonzo: si può ipotizzare che in questa occasione il forte di Villanova potesse essere già stato ultimato. Anche la quinta offensiva sull’Isonzo si concluse senza risultati di rilievo per l’esercito italiano. Il 16 aprile 1916, il Tenente Generale Comandante della III Armata dispose un rischieramento delle artiglierie creando “quattro grossi nuclei” tra cui uno di artiglierie tese e curve, nelle colline e nella piana di Gradiscutta Mossa -Capriva -M. Fortin, rivolte contro la piana Vertojba - Vippacco, e contro le falde nord-est del S Michele, e lo sbocco nord del vallone di Devetaki” che avrebbe dovuto colpire anche la zona del Podgora e Gorizia (6). Nelle caverne del Fortin, con ogni probabilità, venne sistemato il VI Gruppo (denominato appunto “M. Fortin”) del 10* Raggruppamento Artiglieria d’Assedio. Appartenente all’XI Corpo d’Armata, questo gruppo era costituito da tre batterie (13, 14, 15), armate ciascuna con tre obici calibro 149 millimetri con canna in acciaio (149A), per un totale di nove bocche da fuoco. Sulle colline di Villanova, però, presero posizione, in postazioni fuori caverna, anche numerosi cannoni, obici e mortai di altri reparti: tale schieramento venne mantenuto fino alla fine della battaglia di Gorizia (agosto 1916). Il 29 giugno, gli Austriaci passarono al contrattacco, sul S. Michele, con un lancio di gas tossici che investì anche la zona di Monte Fortin. Nonostante le gravi perdite, gli Italiani riuscirono comunque a contenere lo sforzo del nemico. La successiva offensiva italiana (sesta battaglia dell’Isonzo o battaglia di Gorizia) scattò all'alba del 6 agosto del 1916: più di mille pezzi di artiglieria del Regio Esercito, tra cui quelli del forte di Villanova, aprirono il fuoco contro le linee austriache del fronte isontino, cannoneggiandole con estrema violenza. Il 12 agosto, inoltre, l’intera 35 Divisione di Cavalleria (Reggimenti Savoia Cavalleria, Lancieri di Montebello, Cavalleggeri di Saluzzo e Rgt. Vicenza), si trovava ammassata sotto le pendici nord del Monte Fortin, per passare poi all’attacco oltre l’Isonzo verso Peteano e la riva sinistra del Vipacco (7). Alla fine, dopo accaniti combattimenti, le difese austriache si videro costrette a cedere. Il Sabotino, il Calvario, Gorizia ed il San Michele furono conquistati, mentre l’esercito asburgico era costretto ad arretrare di qualche chilometro le proprie posizioni. L’intero scacchiere si presentò mutato: nel settore carsico, gli Austro-Ungarici si erano ritirati oltre il Vallone di Doberdò, e per colpire le loro linee l’artiglieria italiana poteva sfruttare la dominante posizione del Monte San Michele. Il forte di Villanova di Farra cadde così in disuso: i cannoni vennero spostati sul Carso e cominciarono i lavori di scavo di nuovi poderosi sistemi sotterranei per accoglierli, sulla cima del S Michele e sul Monte di Brèstovi. Fino alla disfatta di Caporetto, però, nella frazione di Villanova, straziata dai bombardamenti, rimasero gli alloggiamenti per le truppe in riposo: dal 19 gennaio al 2 febbraio 1917, ad esempio, erano presenti il 37* e 38* fanteria della brigata Ravenna (8). A Monte Fortin e Villanova di Farra sono dedicati due paragrafi di una “Guida ai campi di battaglia” pubblicata nel 1919 dall’Agenzia Italiana Pneumatici Michelin (9).
NOTE
(1)Tito Miotti - Castelli del Friuli Vol. Le giurisdizioni del Friuli orientale e la contea di Gorizia - 1977 - pagg. 201 - 203
(2)Faustino Moisesso - Historia della ultima guerra nel Friuli - Venezia 1623
(3)Anna Bombig - Farra e le sue chiesette - pag. 91 - Farra d’Is. 1988
(4) Faustino Moisesso -Historia della ultima guerra nel Friuli - Lib. I - pag. 142 Venezia 162
(5)Ministero della Guerra - Comando del Corpo di Stato Maggiore - Ufficio Storico - L’Esercito Italiano nella Grande Guerra 1915 1918, voi. Il, Le operazioni del 1915, Narrazione. Roma, Ist. Poligrafico dello Stato, 1919
(6)  Ministero della Guerra - Comando del corpo di Stato Maggiore - Ufficio Storico - L’Esercito Italiano nella Grande Guerra 1915 1918, voi. III torno 11 bis, Le operazioni del 1916, Documen­ti, pagg. 18, 19, 43. Roma, Ist. Poligrafico dello Stato, 1919.
(7)Pietro Pezzi Siboni e Emilio Ravagnati Larghini - Le glorie dei Cavalieri d’italia - Forni editore - Bologna.
(8)Ministero della Guerra - Comando del corpo di Stato Maggiore - Ufficio Storico - Riassunti storici dei Corpi e Comandi nella Guerra 1915 1918. Brigate di fanteria, voi. TI. Roma, 1925.
(9) Agenzia Italiana Pneumatici Michelin editrice - Guida ai Campi di Battaglia (Fronte Italia­no) voi. lI ISONZO - pagg. 156 e segg. - Milano, 1919.
















































I vani interni
Il sistema fortificato sotterraneo di Monte Fortin, scavato interamente in roccia marnosa-arenacea (flysch) del medio eocene, venne realizzato nel 1915 dall’esercito italiano, per dare un sicuro riparo alle artiglierie che colpivano gli obiettivi austro-ungarici della piana di Gorizia e del Carso. Il forte di Villanova di Farra ha una struttura simile a quelli del Monte S.Michele e del Monte di Brestovi, sul Carso Goriziano, realizzati in un periodo successivo. Sul Monte Fortin, vista la particolarità della roccia, estremamente incoerente e franosa, le gallerie sono quasi tutte blindate, cioè con la volta a “botte” e le pareti rinforzate in cemento armato, fatto questo che ne ha permesso una buona conservazione. Le parti di cavità che sono semplicemente scavate, invece, pur restando praticabili, si presentano ingombre di massi di crollo: vanno quindi percorse con particolare cautela, essendo possibili, anche se poco frequenti, dei franamenti interni. È invece totalmente inesistente il pericolo di inondazioni, anche in caso di forti piogge. La progressione nelle cavità di Villanova di Farra non richiede l’ausilio nè di corde, nè di scale; sono necessari una luce individuale frontale ed un casco protettivo. Il complesso di Monte Fortin si sviluppa tutto su un unico livello, ed è formato da due gallerie di accesso con ingressi indipendenti (scavate in direzione est ovest), che intersecano una galleria principale (che si sviluppa da nord a sud). Lungo quest’ultimo tunnel sono praticate le aperture (nove in tutto, tra cui una oggi ostruita) delle postazioni in caverna per obici da 149 mm. All’esterno, di fronte alle bocche, esisteva un terrapieno (falsabraga), oggi rimosso, che serviva a proteggere le aperture delle cannoniere dai colpi di artiglieria avversari. Ai due ingressi, posti sul versante ovest della collina e parzialmente ostruiti da materiale di frana, si accede attraverso un tratto in trincea con muri di sostegno in cemento armato.Le gallerie di ingresso (riferimento al disegno: sez. B-B e C-C) presentano la sezione trasversale “tipo” che si ritrova anche nel tunnel principale: completamente blindate e con la volta a mezza botte, sono larghe 2,50 m ed altrettanto alte. Lungo le pareti sono praticate delle nicchie prive del rinforzo in calcestruzzo per facilitare eventuali ampliamenti del forte. Tra le due gallerie di accesso, è scavato un tunnel di collegamento che fungeva da ricovero per la truppa e da via di fuga in caso di ostruzione di una delle due uscite. Tale tratto non è blindato per cui, dopo successivi crolli, un’enorme quantità di detriti ha riempito il fondo della galleria riducendone notevolmente l’altezza. I lavori di scavo hanno messo in evidenza le stratificazioni del flysch ed i piani di strato sulla volta, creando un ambiente di particolare suggestione. Verso la fine di ogni tunnel d’ingresso, ci sono le entrate di due riservette munizioni con pianta ad “elle”, alle quali si accede anche dalla galleria principale. Il tunnel principale delle cannoniere è quasi completamente rinforzato in calcestruzzo e presenta ancora il piano di calpestio originale. Alla sua estremità settentrionale, è ricavata una stanza blindata, probabilmente un deposito munizioni, protetta da una parete in calcestruzzo di 60 centimetri di spessore. Percorrendo la galleria delle cannoniere da nord a sud, sul lato est (sinistro) si incontrano le prime sei bocche delle postazioni di artiglieria: ciascuno di questi vani, alto circa cinque metri, ha unapertura larga 1,80 m per 2,00 m di altezza. Tra il pavimento originario delle cavità ed il piano di campagna all’esterno delle aperture cannoniere, c’è un dislivello di circa due metri. Vicino ad ogni postazione in caverna, una piccola nicchia serviva ad alloggiare le munizioni di pronto impiego. Ogni bocca termina, sulla parte esterna, con dei gradoni di calcestruzzo in funzione di paraschegge. Le bocche orientate verso Gorizia, il Sabotino ed il Calvario sono oggi parzialmente riempite da materiale di frana proveniente dall’esterno. Un anfratto sulla volta della postazione n.1a volte diventa un rifugio per i rapaci notturni, come testimoniano i ritrovamenti di alcune borre. Successivamente, troviamo le bocche n. 4, 5 e 6, orientate in direzione della valle del Vipacco. Anche la postazione n.4 presenta al suo interno una notevole quantità di terra e pietrame: in questo caso, sulla china detritica sono stati sistemati dei massi a fare da scalini, segno che queste cavità venivano utilizzate come riparo dagli agricoltori dopo la fine del primo conflitto mondiale. Solamente due bocche, la 5 e la 6, conservano il loro aspetto originario. In questi vani, infatti, non essendosi verificati riempimenti di frana, si notano chiaramente tutti i muri perimetrali della postazione e l’apertura cannoniera, posta a due metri di altezza dal pavimento. Nei pressi della postazione n.5 ci sono alcune concrezioni, delle cannule lunghe una ventina di centimetri. Sotto l’apertura della bocca n. 6 è ancora presente la piattaforma in cemento per l’obice da 149 mm. Sul lato ovest (destro) di questa prima parte del tunnel principale, invece, si trova una serie di vani, di modeste dimensioni, adibiti ad alloggiare le riserve di munizioni più consistenti necessarie al fuoco dei pezzi. La prima riservetta è posta in corrispondenza del tratto tra le bocche n.1 e 2. Proseguendo, si incontrano lo sbocco della prima galleria di accesso, l’ingresso della riservetta ad “elle” ed un ulteriore deposito. Successivamente, si giunge all’accesso dell’altra riserva ad “elle” ed all’incrocio con il secondo tunnel d’ingresso; superato questo, circa in corrispondenza della bocca n.5, c’è l’entrata di una stanza più piccola. Superata la bocca n. 6, la galleria principale si presenta priva del rinforzo in cemento armato per un tratto di una trentina di metri. Anche questo ambiente, che in certi casi assume quasi l’aspetto di una cavità naturale, ha il piano di calpestio coperto da uno strato di un paio di metri di massi crollati dalla volta. In certi punti, però, riaffiorano le pareti laterali in calcestruzzo. Scesi lungo uno scivolo di detriti, si giunge ad una decisa deviazione della galleria, in direzione sud-ovest. In questo ramo della cavità, di nuovo completamente blindato, si trovano altre tre postazioni in caverna (bocche n.7, 8, 9). Queste, orientate verso il Monte S.Michele ed il Carso, hanno dimensioni analoghe alle altre sei. Una piccola riserva munizioni si apre sulla parete opposta alle bocche, all’altezza della postazione n. 8. La parte esterna in calcestruzzo delle aperture n.8 e 9 è andata completamente distrutta, mentre si è conservata in parte quella della postazione n.7. All’esterno, di fronte a queste tre bocche e al di là di una strada sterrata, si notano i resti della falsabraga. La bocca n.9 risulta completamente ostruita da uno scivolo di materiale detritico. La galleria termina qualche metro dopo la bocca n.9, con una parete di roccia viva, su cui si notano i fori lasciati dai fioretti delle perforatrici. Da ciò si deduce che era in previsione un ampliamento del sistema fortificato in questa direzione, per alloggiare un maggior numero di cannoni da puntare verso il Carso. Questi lavori, però, non furono mai realizzati: l’importanza strategica del forte di Monte Fortin decadde dopo la presa del San Michele.
Manufatti esterni
Sulla cima del monte, esattamente sopra la bocca n.3, è ancora esistente l’osservatorio, dal quale venivano date le direttive di tiro ai pezzi. Esso ècostituito da una piccola trincea scoperta con pianta a “V”, costruita in cemento armato e con dei gradini per scendere al punto di osservazione. Il cammino per accedere alla trincea passava attraverso una galleria lunga otto metri, ora completamente franata, di cui si vedono solamente gli imbocchi. A nord della bocca n.1, procedendo all’esterno lungo una scarpata, si incontrano altre due piccole cavità artificiali che risultano completamente indipendenti dal resto del sistema. L’approvvigionamento idrico delle fortificazioni era garantito da tre vasche di raccolta dell’acqua poste esternamente, presso l’ingresso posteriore n. 1. Sulla sommità del monte, a guerra finita, venne sistemato un cippo commemorativo, oggi andato perduto.
Cavernetta I a nord di Monte Fortin
Ad una trentina di metri a nord della bocca n.1 del complesso di gallerie cannoniere di Monte Fortin, proseguendo per il viottolo lungo la scarpata di sbancamento, si incontra, all’incirca all’altezza di tre metri, l’imbocco largo un’ottantina di centimetri della Cavernetta I a nord di Monte Fortin. Questa cavità artificiale, pur facendo parte dello stesso complesso fortificato realizzato nei primo conflitto mondiale, non è in alcun modo collegata ai sistema delle gallerie cannoniere. La cavernetta, adibita a ricovero o deposito, si apriva lungo un sentiero percorso dalle guardie, detto rondello, che durante la guerra risultava protetto dalla faisabraga. Si tratta di un cunicolo scavato direttamente nel flysch in direzione ovestnordovest. Largo circa un metro ed alto poco di più, ai momento della sua realizzazione era sicuramente percorribile in posizione eretta. Vari crolli, negli anni, lo hanno semiostruito. Anche oggi, la stabilità è pessima: nonostante sia sufficientemente largo per poter essere percorso, l’elevato pericolo di franamenti interni lo fa considerare impraticabile.
Cavernetta II a nord di Monte Fortin
Camminando lungo la scarpata per una stradella interpoderale, giunti ad un centinaio di metri dalla bocca n.1 del sistema di gallerie di monte Fortin, si nota lo stretto imbocco della cavità. La cavernetta, del tutto scavata artificialmente, è un cunicolo largo all’incirca un metro che, non essendo blindato, a causa di continui crolli interni èquasi completamente ostruito. Essa si apriva lungo un sentiero percorso dalle guardie, detto rondello, che durante la guerra risultava protetto dalla falsabraga, e doveva servire da ricovero o deposito. Si percorre con estrema difficoltà e, dato l’elevato pericolo di franamenti della volta, è da considerarsi nel modo più assoluto impraticabile. Anche questa piccola cavità, pur non essendo fisicamente collegata a nessuna delle sue gallerie, fa parte del sistema fortificato di Monte Fortin, risalente alla prima guerra mondiale.
tratto da Atti del IV Convegno Nazionale sulle cavita' artificilai, Osoppo, 30/31 maggio - 1 Giugno 































































IL CORO S.IGNAZIO
























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